The Corran Keepers

Le avventurose imprese di un quartetto di eroi sul mondo fantasy di Mystara.

20.09.05

Kael Hindiya

Caldo, e freddo. Non diresti che nel deserto possa fare freddo, eppure... Eppure ci siamo fatti le nostre belle malattie. Ore di sonno diurno, preda della tosse, con le ossa doloranti. Fughe in luoghi appartati, perchè qui nell'acqua o nel cibo c'è evidentemente qualcosa che il mio corpo non tollera. Ora mi sono abituato, ma ancora non riesco ad avvicinarmi ai banconi di frutta e verdura fresche dei mercatini.
Che differenza tra le due parti della Barriera (così la chiamano). Uno scudo di pietra che sembra lungo centinaia di miglia, alto come tre uomini, intervallato da torrioni, fortini, posti di guardia, piccoli castelli. Ognuno di essi un formicaio di guerrieri vestiti di verde.

Da un lato, una nazione nuova, piena di soldi, piena di fazioni, sette, contrasti laceranti al suo interno, eppure spinta come una ‘gae bolga’ verso il futuro. Dall'altra, quella dove abitiamo noi, gli sconfitti, quelli fatti fessi, la terra della corruzione, dei mangiasoldi, degli orari assurdi, della gente inaffidabile, eppure anche la terra dei grandi condottieri, degli abitanti originari, dei poveri, della distruzione, delle cicatrici della guerra, persa e ripersa. Né da un lato né dall'altro sembriamo particolarmente graditi. Ci vuole tempo a conquistarsi la loro fiducia, e se non segui le loro tradizioni hai ben poca speranza di venirne a capo. Parlano lingue incomprensibili, dialetti, idiomi, e tutti così veloce che anche con i miei studi mi sento tagliato fuori.

È passato più di un mese da quando siamo qui. Tra poco, prima di quanto pensiamo, ce ne andremo. Abbiamo sentito storie terrificanti, da tenerti sveglio la notte. Storie di famiglie, di individui, di bambini. Come fanno due popoli a non essere semplicemente stufi di tutto ciò? Forse per abitudine. Persino io e Caranwen ormai non facciamo più caso alle macerie che circondano la nostra casa, agli scheletri di pietra devastati dalla magia del fuoco che si profilano all'orizzonte, all'indolenza locale, all'obbligo per me pazzesco di girare con tutti i documenti. Un bene prezioso, più dei soldi, che non devi mai farti sottrarre, per nessun motivo, o sono guai. Specialmente qui, nella terra di nessuno, dove non esiste autorità e dove chiunque abbia una divisa sente di avere chissà quale potere. Per fortuna abbiamo una via d'uscita d'emergenza. Possiamo contattare il Console di Thyatis, che ha un ufficio persino qui, sebbene dall'altra parte della Barriera.
Ormai non la vedo nemmeno più, ma ricordo ancora la prima volta, con quel caldo assoluto ed il vento che ti ghiacciava il sudore sulla schiena, in cui siamo arrivati a Kael Hindiya.

Lo squallore, la miseria, la bruttezza assoluta di quel posto mi chiusero lo stomaco. Fango, calcinacci, macerie, grandi macchine rumorose che cigolavano sotto il peso dei nuovi blocchi della Barriera. Il senso di una trappola che si sta chiudendo. Le file di persone che camminano nella polvere, le cartacce che volano ovunque, le urla e gli strepiti, la puzza dei chioschi di fave e mais bolliti. Gli ambulanti, le diligenze a centinaia, i cavalli di frisia e tutta quella gente che ogni maledettissimo giorno si fa e rifà questa trafila, al posto di controllo, esibendo documenti e rispondendo a domande, facendosi perquisire le tasche e beccandosi sguardi in tralice. Noi ci abbiamo messo due giorni di tentativi ad oltrepassarlo, e siamo stati fortunati. Eppure anche quegli armigeri, così freddi e a volte anche scortesi, ci fanno pena. Perchè ogni giorno non possono sapere se torneranno a casa, se il Fiore di Fuoco deciderà di sbocciare proprio sotto i loro piedi o no.

Ancora rivedo davanti agli occhi quella torre di pietra, liscia come la scorza di un serpente marino. Alta sulla collina. Sorgeva nel mezzo della Barriera ed il sole che le moriva dietro. Intorno, solo brulle colline polverose e desolate. Un vento gelido nonostante fosse agosto. Sotto di lei, nella pietraia, guerrieri che strepitavano istruzioni. Tanto caos, bruttura.

- Benvenuti all'inferno!

Ci disse la nostra guida, malcelando la sua soddisfazione nel guardare le nostre facce. Io mi strinsi al bastone, Caranwen sbiancò e deglutì per lo stupore ed il ribrezzo. Accidenti, se aveva ragione. Ricordo di aver letto un libro, in uno dei miei viaggi. Sta in una Biblioteca di Sigil e si intitola “The Red Book of the West Marshes”. C'è un luogo descritto in quel libro, verso la fine. È uguale a Kael Hindiya che di più non si potrebbe. Si chiama “Terra Oscura”, oppure “Mordor”.


Vergato col sangue da | 20.09.05 09:45